Ninos du Brasil @WoPa, Barezzi Festival, Parma, Novembre 2017

Qualche weekend fa sono stato a Parma a fotografare i Ninos du Brasil per gli amici di Kalporz. Ottima occasione per rivedere Nunzia e Gianluigi e per farsi un’idea del Barezzi Festival, che non avevo mai frequentato prima.

Chi li conosce lo sa, i Ninos du Brasil sono energia pura. Percussioni a oltranza, salti, coriandoli, grande casino, loro in mezzo al pubblico, il pubblico in mezzo al loro, servizi di sicurezza impazziti e messi in ridicolo dagli impietosi artisti che questo gran casino lo vogliono tutto. Vederli è un’esperienza. Magari più adatta a chi ha (molto) meno di 40 anni, ovvio. La consiglierei comunque anche a chi ne ha di più: trovatevi una scusa buona e andateci lo stesso!

Tony Allen & Jeff Mills @RomaEuropa Festival, Parco della Musica, Roma

Le cose musicali che mi emozionano di più sono le contaminazioni, e l’incontro fra Tony Allen e Jeff Mills è una contaminazione assai ben riuscita: la fusione fra le drum machine di Jeff Mills e la batteria di Tony Allen funziona molto bene. Il risultato è sicuramente qualcosa di nuovo, a tratti complesso da seguire, ma spesso fluido, facile, immediato e potente. Il livello di improvvisazione è elevato, e in effetti qualche svarione si è sentito. Ma non importa, ci sta: il fatto che questo tipo di sperimentazione non sia tecnicamente perfetta rende ancora più interessante l’opera: si ha la sensazione di essere di fronte a qualcosa di così particolare, che le imperfezioni passano in secondo piano. Anzi, forse accrescono la consapevolezza di essere dentro una cosa del tutto nuova e audace.

Raramente ho avuto sensazioni così, ricordo il concerto di Ryuichi Sakamoto e Alva Noto al Comunale a Bologna (RoBOt festival 2012) ad esempio, ma poi poco altro.

Da un punto di vista fotografico la sfida è stata duplice: avere il pass foto è stato un evento quasi casuale, e cercare di tirare fuori immagini accattivanti da un set assolutamente statico non è stato banale.

Ero in missione per Kalporz, e come di consueto la testata ha chiesto per me accredito e pass foto. Non hanno ricevuto alcuna risposta, nonostante i solleciti. Non intendevo perdere il concerto per nessun motivo al mondo, quindi ho comprato il biglietto e sono partito per Roma. Arrivato all’ingresso, per scrupolo ho chiesto se ci fosse un pass foto per me. Il mio nome era sulla lista degli accrediti, quindi mi hanno dato il pass. Sul pass, tuttavia, non c’era il mio nome, ma quello di un altro. L’ho fatto subito notare, ma mi è stato risposto “non preoccuparti, va bene lo stesso, abbiamo fatto un po’ di casino”. Me ne sono accorto.

Il concerto era nella Sala Sinopoli dell’Auditorium di Roma, un vero e proprio teatro, dall’acustica impeccabile. I tre stavano ciascuno dietro la propria postazione, non si sono mai mossi di lì. Le luci variavano pochissimo. Come rendere vario e presentabile un set di foto in una condizione in cui praticamente non cambia mai nulla?

Fatti i primi scatti, ho iniziato a girare per il teatro in esplorazione. Ho salito scale, varcato porte chiuse, attraversato ponti dietro le quinte. Ho cercato punti di vista diversi per rendere un po’ più vario il set. Ho deciso di adottare il bianco e nero perché quasi mai i colori delle luci erano un valore aggiunto per rendere interessante la scena. Spero che il risultato funzioni.

Se avete occasione di andare a sentire queste due vecchie glorie della Techno di Detroit e dell’Afrobeat, non lasciatevela scappare!

 

 

 

RoBOt festival 2016, l’anno del reboot

 

La buona notizia è che sono vivi. Alla fine ce l’hanno fatta: ci hanno messo la faccia, si sono rimessi in gioco e hanno costruito il nono RoBOt. I dipendenti della scorsa edizione sono ancora incazzati (giustamente, direi); gli echi impietosi della scorsa debacle finanziaria risuonano ad un volume ancora più alto rispetto ai decibel della musica che sono riusciti a proporre quest’anno … ma alla fine Bologna ha avuto il suo festival di musica elettronica, la gente ha riempito i locali, ci sono stati i sold out, le file, le prevedibili polemiche su tessere, organizzazione e quant’altro. Checché se ne dica, il sostanziale successo di questa edizione è una buona notizia. Lo è per la città, per chi la abita e sicuramente lo è per me.

La cattiva notizia è che questo è stato il reboot di una macchina che, alla fine, è sempre la stessa: se la macchina funziona sempre allo stesso modo, chi garantisce che, una volta riavviata, fra qualche anno non si incepperà nuovamente?

Il RoBOt ha sempre avuto due facce, due anime: la prima è fatta di selettori artistici attenti, di performance particolari, di cose belle in orari strani in posti improbabili. L’anima nobile, artistica e preziosa. Quell’anima lì mi ha fatto conoscere i Quiet Ensemble, mi ha fatto assistere ad un concerto meraviglioso di Flako alle 9 di sera con pochissima gente, mi ha regalato Thundercat a Palazzo di Re Enzo. Quell’anima lì quest’anno c’era, e abitava nella Back Room dell’ex Ospedale dei Bastardini. Quell’anima quest’anno ci ha regalato Peggy Gou, Beatrice Dillon, Aurora Halal. Si tratta dell’anima dei “territori inesplorati”.

La seconda anima è invece quella delle “certezze”. Loro la chiamano così. Certezze di cosa?

E’ certa la presenza di tanta gente; è certo che ciò che suonerà avrà un riscontro positivo di massa. Ma è anche certo che non ci stupiremo. A parte una eccezione, la Main Room dell’ex Ospedale era la casa delle cosiddette certezze. Memoryman, The Grasso Brothers,  Space Dimension Controller. Cose piacevoli per i più, per carità … ma io (scusatemi) al RoBOt vorrei stupirmi. Non ce la faccio proprio a sentire cose facili e banali, andiamo. Voi potete stupirmi e dovete stupirmi.

L’eccezione della Main Room sono stati i Mop Mop. Grande performance, accompagnati da Wayne Snow. I Mop Mop sono sempre tecnicamente ineccepibili ed emozionanti, chi li conosce lo sa. Ogni volta che sento Pasquale Mirra suonare il vibrafono dal vivo, ho i brividi. Stavolta lo show è stato anche più intenso del solito grazie alla collaborazione con il vocalist e autore nigeriano Wayne Snow. Peccato che la cosa sia durata solo un’ora.

Alla fine ha funzionato? Mah, probabilmente si. Dopo la caduta si sono rialzati e questa è una cosa buona. Poi le polemiche si sprecano: pare che per entrare al Cassero ci volessero due ore di coda, pare che un sacco di gente sia rimasta a bocca asciutta perché i siti si sono riempiti … francamente trovo assurde certe polemiche, era tutto molto chiaro a mio avviso: chi non voleva corre il rischio di restare fuori doveva sborsare 35 euro per un “day pass”, tutto qui. Chi non lo ha fatto, evidentemente ha accettato il rischio ed è inutile protestare, a quel punto.

Mi sembra che i ragazzi di Shape siano ripartiti con uno schema esattamente identico a quello dello scorso anno, ma in scala ridotta. Spero che ciò non significhi che fra qualche anno non ci si ritrovi punto e d’accapo. Territori inesplorati e certezze insieme? Beh, io sarei uno che delle certezze farebbe volentieri a meno. Se la banalità è un effetto collaterale della sostenibilità economica, ce ne faremo una ragione e pianteremo le tende nelle Back Room delle prossime edizioni, sperando che per qualche magico motivo l’anima “buona” del festival resti quella prevalente.

 

 

 

Il roBOt è morto, viva il roBOt

Tutto questo silenzio è assordante.

Negli ultimi anni la comunicazione del roBOt festival iniziava già da Maggio o Giugno; quest’anno, nulla: il silenzio totale, a parte una timida collaborazione nell’organizzazione di Astro, evento (ben riuscito) nell’ambito di Ferrara sotto le stelle, a Giugno. Dopo la débacle finanziaria dell’ultima edizione, Bologna questo autunno evidentemente resterà senza il suo festival di musica elettronica e arte digitale, e io dovrò rinunciare a festeggiare il mio compleanno alla preview del Teatro Comunale, evento che di solito capitava nella seconda metà di settembre. Hanno portato Ryuichi Sakamoto e Alva Noto a teatro; poi James Holden, e Apparat con la colonna sonora de Il Giovane Favoloso.

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Ryuichi Sakamoto e Alva Noto al Teatro Comunale, 29 settembre 2012

Ma alla fine hanno fatto il botto e ci hanno lasciato senza roBOt.

Avevano a loro disposizione tre elementi potenzialmente dirompenti: una cultura artistica e musicale che consentiva loro di fare una selezione di artisti e novità molto raffinata; location incredibilmente belle ed insolite per eventi di questo tipo (non solo il Teatro Comunale ma soprattutto il Palazzo di Re Enzo, uno dei palazzi medievali situato in Piazza Maggiore); una città particolarmente capace di recepire il valore di eventi di quel tipo lì. Eppure hanno rovinato tutto: hanno preferito puntare sui volumi e sulla dimensione dell’evento piuttosto che sulla sua qualità. Pur mantenendo in vita le iniziative preziose di Palazzo di Re Enzo, hanno virato verso il mainstream, cercando di attrarre quanta più gente possibile al link prima, e ai padiglioni della fiera nelle ultime edizioni, tanto che il festival negli ultimi due anni ha perso quella che secondo me era la sua anima migliore, diventando del tutto simile a tanti altri. E hanno pure fatto il botto.

Al roBOt ero un nonno fuori tempo massimo, ma ci sono sempre andato volentieri. Non nascondo che avrei voluto avere più concerti di Flako al Salone del Podestà con pochissima gente intorno e meno Marcel Dettmann e Ben Clock al Link in una calca infame; più Thundercat a Palazzo e meno Villalobos in fiera; più Philip Gorbachev vestito da ufo robot e meno Maceo Plex; infinitamente più Quiet Ensemble ovunque; più Moodymann che ti offre la vodka in prima fila, più Oneotrix Point Never nel vuoto più totale; avrei poi vietato l’ingresso a Jon Hopkins a partire dal 2014, rimanendo orgoglioso di avercelo portato nel 2010 (3 anni prima di Immunity). E invece hanno cercato le masse e hanno fatto il botto. Che peccato.

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Thundercat a Palazzo Re Enzo, Ottobre 2013

Nel corso dell’ultima edizione ho girato il roBOt in gran parte da solo. Non ho un aspetto particolarmente appariscente (tutt’altro), quindi lì da solo ero praticamente invisibile. Ho potuto fare molti scatti indisturbato. Una organizzatrice che mi ha visto girare con la macchina fotografica al collo dentro il Salone del Podestà mi ha impedito di usare la reflex, diceva che non si potevano usare “macchine professionali”. All’ingresso non mi hanno fatto alcuna obiezione, né erano state pubblicate policy di questo tipo da nessuna parte prima del festival, ma lei ha minacciato di farmi buttare fuori se non avessi messo via la reflex. Vaffanculo, ho rimesso la reflex nello zaino e ho usato la mia piccola mirrorless. Fortuna che ho deciso di portarla con me. La battaglia contro il buio è stata molto più difficile senza la mia reflex, ma ero invisibile, avevo anche una macchina piccola in mano, potevo fotografare chi volevo. Volevo riprendere quella che per me era l’anima dell’evento, chissà se ci sono riuscito. Il reportage è qui sotto.

Poi, oggi, una buona notizia: Federica Patti pubblica l’evento riportato qui. Qualcosa si muove.

Qualcuno riparte, a piccoli passi, proprio da Palazzo Re Enzo.

Non sarò a Bologna l’8 settembre purtroppo, a causa di un impegno di lavoro. Ma chi riuscirà ad essere da quelle parti …

Io spero sia un nuovo inizio dalle origini. Auguro ai ragazzi del roBOt di riuscire a concentrarsi sulla qualità delle loro proposte e di fottersene dei volumi, delle decine di migliaia di persone, delle star mondiali della tecno e della musica da club. Secondo me il potenziale di realizzare una cosa unica in Italia, c’è ancora. Cari ragazzi del roBOt, cercate di avere ben presente qual è la vostra anima, non andate a scimmiottare l’anima degli altri. Daje!