Il roBOt è morto, viva il roBOt

Tutto questo silenzio è assordante.

Negli ultimi anni la comunicazione del roBOt festival iniziava già da Maggio o Giugno; quest’anno, nulla: il silenzio totale, a parte una timida collaborazione nell’organizzazione di Astro, evento (ben riuscito) nell’ambito di Ferrara sotto le stelle, a Giugno. Dopo la débacle finanziaria dell’ultima edizione, Bologna questo autunno evidentemente resterà senza il suo festival di musica elettronica e arte digitale, e io dovrò rinunciare a festeggiare il mio compleanno alla preview del Teatro Comunale, evento che di solito capitava nella seconda metà di settembre. Hanno portato Ryuichi Sakamoto e Alva Noto a teatro; poi James Holden, e Apparat con la colonna sonora de Il Giovane Favoloso.

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Ryuichi Sakamoto e Alva Noto al Teatro Comunale, 29 settembre 2012

Ma alla fine hanno fatto il botto e ci hanno lasciato senza roBOt.

Avevano a loro disposizione tre elementi potenzialmente dirompenti: una cultura artistica e musicale che consentiva loro di fare una selezione di artisti e novità molto raffinata; location incredibilmente belle ed insolite per eventi di questo tipo (non solo il Teatro Comunale ma soprattutto il Palazzo di Re Enzo, uno dei palazzi medievali situato in Piazza Maggiore); una città particolarmente capace di recepire il valore di eventi di quel tipo lì. Eppure hanno rovinato tutto: hanno preferito puntare sui volumi e sulla dimensione dell’evento piuttosto che sulla sua qualità. Pur mantenendo in vita le iniziative preziose di Palazzo di Re Enzo, hanno virato verso il mainstream, cercando di attrarre quanta più gente possibile al link prima, e ai padiglioni della fiera nelle ultime edizioni, tanto che il festival negli ultimi due anni ha perso quella che secondo me era la sua anima migliore, diventando del tutto simile a tanti altri. E hanno pure fatto il botto.

Al roBOt ero un nonno fuori tempo massimo, ma ci sono sempre andato volentieri. Non nascondo che avrei voluto avere più concerti di Flako al Salone del Podestà con pochissima gente intorno e meno Marcel Dettmann e Ben Clock al Link in una calca infame; più Thundercat a Palazzo e meno Villalobos in fiera; più Philip Gorbachev vestito da ufo robot e meno Maceo Plex; infinitamente più Quiet Ensemble ovunque; più Moodymann che ti offre la vodka in prima fila, più Oneotrix Point Never nel vuoto più totale; avrei poi vietato l’ingresso a Jon Hopkins a partire dal 2014, rimanendo orgoglioso di avercelo portato nel 2010 (3 anni prima di Immunity). E invece hanno cercato le masse e hanno fatto il botto. Che peccato.

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Thundercat a Palazzo Re Enzo, Ottobre 2013

Nel corso dell’ultima edizione ho girato il roBOt in gran parte da solo. Non ho un aspetto particolarmente appariscente (tutt’altro), quindi lì da solo ero praticamente invisibile. Ho potuto fare molti scatti indisturbato. Una organizzatrice che mi ha visto girare con la macchina fotografica al collo dentro il Salone del Podestà mi ha impedito di usare la reflex, diceva che non si potevano usare “macchine professionali”. All’ingresso non mi hanno fatto alcuna obiezione, né erano state pubblicate policy di questo tipo da nessuna parte prima del festival, ma lei ha minacciato di farmi buttare fuori se non avessi messo via la reflex. Vaffanculo, ho rimesso la reflex nello zaino e ho usato la mia piccola mirrorless. Fortuna che ho deciso di portarla con me. La battaglia contro il buio è stata molto più difficile senza la mia reflex, ma ero invisibile, avevo anche una macchina piccola in mano, potevo fotografare chi volevo. Volevo riprendere quella che per me era l’anima dell’evento, chissà se ci sono riuscito. Il reportage è qui sotto.

Poi, oggi, una buona notizia: Federica Patti pubblica l’evento riportato qui. Qualcosa si muove.

Qualcuno riparte, a piccoli passi, proprio da Palazzo Re Enzo.

Non sarò a Bologna l’8 settembre purtroppo, a causa di un impegno di lavoro. Ma chi riuscirà ad essere da quelle parti …

Io spero sia un nuovo inizio dalle origini. Auguro ai ragazzi del roBOt di riuscire a concentrarsi sulla qualità delle loro proposte e di fottersene dei volumi, delle decine di migliaia di persone, delle star mondiali della tecno e della musica da club. Secondo me il potenziale di realizzare una cosa unica in Italia, c’è ancora. Cari ragazzi del roBOt, cercate di avere ben presente qual è la vostra anima, non andate a scimmiottare l’anima degli altri. Daje!

Quando i 4hero programmarono Goldie per il successo

degoRacconto di Goldie intervistato da  SVEN VON THÜLEN

Tornai in Inghilterra nel 1988. Avevo vissuto per qualche tempo a New York e Miami, avevo lavorato ad alcuni graffiti e assorbito quell’atmosfera. Al mio ritorno, non tornai nella mia cittadina natale nel Midlands, ma rimasi a Londra con un tipo di nome Gus Carl, che aveva girato il documentario sul graffiti Bombing, ed aveva usato un pezzo del mio lavoro fatto in Inghilterra.

Andavo spesso a Camden, era il periodo dell’acid house e del passaggio dall’indie al rave ed era tutto nuovo per me. Un posto dove andavo spesso era il Wag, un posto molto in voga. Una sorta di overground ma nell’underground. The Brain a Soho era un altro club che frequentavo, la gente al Brain diceva “Senti, devi andare al Rage”. All’epoca avevo appena cominciato ad uscire con DJ Kemistry, le avevo chiesto di uscire un sacco di volte, finchè un giorno mi disse “Guarda, vado al Rage”.

Il resto della storia si sa… andai al Rage e fu incredibile. Kemistry poi mi portò in un altro club chiamato Astoria, dove i 4Hero facevano un live quella sera. Dego e Marc erano sul palco e quando li vidi realizzai “Questo è quello che voglio fare”. Tirai Marc per il braccio e gli diedi il mio numero “Faccio un sacco di robe artistiche, voglio lavorare con voi”.

Poco tempo dopo andai nel loro studio a Dollis Hill. La prima cosa che feci fu ridisegnare il logo della loro etichetta, Reinforced Records. Quello fu l’inizio del nostro rapporto. Siccome volevo davvero lavorare con loro, proposi di fare un EP insieme. Avevo già fatto una collaborazione con un tipo islandese, influenzato dal break beat e dal rave, che chiamammo Ajax Project. Era un EP con 4 tracce, uscito su una white label e quando cominciai ad uscire con Kemistry produssi il disco. Andai proprio alla pressa, li feci incidere, li caricai in macchina e li portai a Moles Music a Tottenham. Furono sold out e ristampammo subito.

Quando suggerii di fare un EP con la Reinforced, Marc aveva già sentito dell’Ajax Project e disse “Sei quello dell’Ajax Project” e io “Sì, ma voglio fare qualcosa di diverso. Il vostro sound è incredibile” e aggiunsi “Datemi solo i soldi per affittare lo studio. Io ne metto metà, voi l’altra metà”. In quel periodo dare 750 sterline ad un ragazzo per andare in uno studio era una cosa più unica che rara. Ma mi diedero fiducia. Marc disse “facciamolo e basta”.

I ragazzi non uscivano molto, Marc era tutto preso dal mondo della produzione e neanche Dego andava in giro per club. Io sì, invece io ero proprio addentro.

Facevamo spesso questa gag in cui io telefonavo a Marc e gli dicevo “Senti, devi spegnermi amico”. E lui rispondeva “Ti abbiamo programmato – non ti fermerai mai. Ti ricarichi con il tuo stesso software.” Un po’ come la scena di Blade Runner. Con la Reinforced e con loro, soprattutto con Marc mi sono fatto le ossa.

All’epoca avevo vari legami con persone che frequentavano l’ambiente underground, tipo Mark Rutherford, che aveva lavorato con Peter Gabriel. Quando ci incontrammo, lui stava lavorando nello studio di William Orbit, mi aveva conosciuto al Wag Club e tramite le varie frequentazioni trendy che avevamo a Londra. Entrai  in studio con lui ed un altro mio amico Linford Jones e demmo origine alla Rufige Kru. Linford aveva una collezione di dischi enorme e quello che avevo in mente era “voglio solo questa parte di questo disco, voglio quella parte di quell’altro disco”.

Così accadde che affittammo due campionatori Akai S1000,  mi dissero che poteva bastare solo uno ma io non ne volli sapere. Li ho letteralmente riempiti di campioni senza lasciare un minimo di spazio in memoria. I ragazzi mi guardavano e continuavano a ripetermi “ che cazzo hai intenzione di fare con tutta questa roba?” ed io rispondevo “ho solo intenzione di mettere tutto insieme”. In realtà avevo già tutto in mente perché avevo una mentalità “writer”, avevo in mente il disegno, avevo in mente la linea, il tratto.

La prima cosa che facemmo fu Krisp Biscuit EP era un 12” ed andò molto bene, quindi producemmo “Darkrider” lo portai alla Reinforced Records e loro rimasero entusiati così cominciai a lavorare con loro. Cominciavo a lavorare con Dego durante il giorno e poi quando lui andava via verso le 16.00 arrivava Marc e continuavamo a lavorare sullo stesso suono.

Siccome ero reduce dal successo del primo disco, mi sentivo a mio agio in studio con Dego e Marc, se fosse accaduto prima non avrei avuto la mia autonomia anche se avevo la mentalità del  “b-boy” volevo farcela da solo per vedere se avevo la stoffa per poter riuscire.

Ho iniziato a coinvolgere anche gli ingegneri che non erano mai stati usati per questo particolare tipo di musica, Dego e Marc non ne sapevano nulla dei cento-fottuti- cinquantacinque bpm, loro erano sui 90bpm.

Avevo tantissime idee e campioni nella mia testa e Marc e Dego ascoltavano qualsiasi cosa dicessi, così iniziammo delle lunghe sessioni, tagliando i breaks e registrandoli poi sul DAT, ricampionando poi tutto sul computer. Era come se stessi producendo colori, questo ero il mio approccio: crea prima il colore e poi arriverà qualsiasi altra cosa, questo è eclettismo. Come direbbe un “writer”: “Questa è una linea, ti mostrerò che colore utilizzare e poi metteremo tutto insieme”. Metti il blu qui ed il rosa lì. Questa era il mio atteggiamento nei confronti della musica

Era questione di mentalità, di passaggio, di transizione, come il passaggio delle battute da 16 alla 32 alla 64 per poi ritornare alla 16, il passaggio su chi sarei voluto essere. Come potevo muovermi da una cosa all’altra? Come fa un b-boy  a fare un passo breakdown? Lui non si ferma ma continua a muoversi. Come si può passare da mosse breakdance tipo windmill a headspin e non cadere? Non si può, giusto? Devi finire di muoverti per passare da una cosa all’altra, ma lui può. Come far sembrare che dietro non ci sia nessuno sforzo? È questo il trucco!

E’ lo stesso per la musica, devi essere eclettico per un po’ – 32 battute, 64 battute- e poi inserire un movimento, un grande movimento che potrebbe essere un suono che entra all’improvviso oppure un vocal. Quando rimanevo bloccato su un accordo, Dego mi diceva “prova con questo- prova con qualcosa di diverso” E’ tutta una questione di passaggi ed è come saltare da un tetto all’altro. Marc diceva sempre che avevo le idee chiare su cosa volessi fare e questo divenne parte di tutta la mentalità della Reinforced.

Arrivò poi una grande opportunità con la Synthetic Records che mi diede molti soldi per fare un EP, lo dissi a Marc e Dego e loro mi diedero il loro benestare, fu così che entrai in studio con Mark Rutherford e produssi tracce come “Terminator”, “Kemistry”, “Knowledge” or “Sinister”. Come regalo, diedi alla Reinforced records il remix di “Terminator” e da lì iniziai a pensare “fanculo, devo creare una mia etichetta” fu l’inizio della Methalheadz.

Marc ha sempre detto che nel momento in cui ha ascoltato i due EP – Terminator e Angel – ha capito che erano di un livello superiore e che la Reinforced records non avrebbe mai potuto render loro quanto dovuto. Marc mi disse “ Questo è molto più grande di noi, dobbiamo metterci da parte, è meglio per tutti noi”. Così quando ci salutammo fu come quando un fratello più grande ti abbraccia alla porta e ti dice “ vai figliolo, vai e fai danni” Marc e Dego lo sapevano, loro mi avevano programmato. Sono stati loro ad insegnarmi tutto.

Fonte: Electronicbeats.net