Prendila così: una recensione di Dirty Projectors

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Vale la pena mettersi ad ascoltare Dirty Projectors e il loro/suo ultimo album, ononimo. Vale la pena stare a sentire David Longstreth, soprattutto quando lascia le sperimentazioni ostiche e cerebrali di alcuni suoi lavori (The Getty Address e New Attitude su tutte) per parlare chiaro a chi decide di avvicinarsi alla sua musica. In questo caso, non poteva fare altrimenti.

Con Amber (Coffman, contraltare femminile vocale di DP) è finita. David ha bisogno di qualcuno che ascolti e la fine di un rapporto non si spiega, al più si racconta. Ci si confida, seduti ad un tavolo, con il proprio migliore amico o, ancora meglio, con un estraneo che non sa nulla di te e ascolta la tua versione dei fatti, attento. Ecco, sì: un bicchiere di vino e briglie sciolte a parole che parlano di incontri, scelte, incomprensioni.

Un po’ come fece Bjork con Vulnicura (sarà un caso ma già collaboratrice di DP per un intero album), anche David Lonstreth usa la composizione come terapia, mettendo a nudo ogni aspetto della sua relazione interrotta.

Però non la fa certo facile. La sua storia all’ascolto sembra un ardito saliscendi, una giostra impazzita di voci che si accavallano. Quasi abbia voglia di distrarre l’attenzione dalle parole che pronuncia, David altera la struttura dei brani con dinamiche imprevedibili e armonie indisciplinate, sin dall’inizio cioè da come ha incontrato Amber (la passeggiata tra fiati, armonizzazioni vocali e distorsioni finali di Up in Hudson) e dai primi sobbalzi del cuore alla consapevolezza che fosse “quella giusta” (Cool Your Heart con ritmi afro-caraibici e le voci di Solange Knowles e Dawn Richard). Si incupisce soffermandosi sulle rivendicazioni reciproche (Keep Your Name, in cui ci si aspetta un inciso rappato di Kanye West che non arriverà mai). Il lavoro in comune ha messo il carico da quaranta (l’alienante Work Together) nel far scendere i due in una spirale autodistruttiva (il momento più pop del disco, Death Spiral, in cui la voce di Longstreth richiama il miglior falsetto di Justin Timberlake). L’inevitabile consapevolezza di vivere una situazione ormai compromessa, che gli scoppia in faccia come una bolla di sapone (Little Bubble, dall’incedere melodico unico e cantato impeccabile è il momento più alto del disco) permette però di ripartire, ciascuno per un nuovo viaggio attraverso le stelle (Ascent Through Clouds).

Lo lasciamo davanti ad una chiesa. Un organo all’interno intona una musica solenne (I See You), mentre ci dice: “Lo sa Dio se siamo stati all’Inferno; ma sono felice e orgoglioso che sia stata nella mia vita. Ora riesco a vederla.”

Non poteva che finire così, credo.

P.S.:  pochi mesi fa Amber Coffman ha dato alle stampe un singolo. Il titolo è All To Myself. Come dire…

Clap! Clap! @Locomotiv Club, Bologna

La prima volta che ho sentito un DJ set di Cristiano Crisci è stato circa 5 anni fa. Non ricordo chi lo ha proposto per primo alla radio: forse era Carlo Pastore (Babylon, Radio 2), o forse Raffaele Costantino (Musical Box, Radio 2), oppure Alessio Bertallot (che all’epoca faceva Rai Tunes, sempre su Radio 2). Fatto sta che nel giro di poche settimane, forse qualche mese, tutti e tre o l’hanno ospitato, o ne hanno proposto i brani o ne hanno parlato in modo estensivo: ne hanno insomma presto riconosciuto il valore. L’elemento che colpiva immediatamente, ancora prima di sentirlo all’opera, erano gli pseudonimi che sceglieva: Digi G’Alessio, e prima ancora Paura Lausini. A prescindere da ogni altra considerazione, uno che decide di farsi riconoscere così ha già di per sé qualcosa di geniale e di malato (nel senso buono) dentro: solo nello pseudonimo si distacca così ironicamente dal concetto di canzonetta popolare italiana e sta già comunicando qualcosa di estremamente chiaro.

Ma la vera sorpresa è stata vederlo all’opera: un’energia così non l’ho vista proprio da nessuna parte.

Raggiunto presto un discreto successo nell’ambito dei club e dei festival italiani, Cristiano Crisci vara un nuovo progetto: manda in pensione i vecchi pseudonimi, comprensibili e apprezzabili in tutte le loro connotazioni per lo più solo a livello locale, e fa nascere Clap! Clap!, l’identità che lo accompagnerà in un salto deciso verso il successo internazionale.

Il primo album di Clap! Clap! è del 2014 e si chiama “Tayi Bebba”. Cristiano Crisci va a prendere suoni, atmosfere e ritmi africani e tribali, e li porta dentro i nostri club fondendoli con l’elettronica e la techno, creando qualcosa di nuovo. Da quel momento accade tutto molto rapidamente: fra il 2015 e oggi viene premiato al Worldwide Gilles Peterson Awards a Londra, viene prodotto da Black Acre e distribuito da Warp records, registra una sessione epica con Boiler Room, viene scelto da Paul Simon per fare da produttore di alcuni pezzi dell’ultimo album, e in tutto questo continua a divertire e a divertirsi dal vivo con una potenza scenica incredibile: quando suonava Digi G’Alessio venivano giù i locali? Continuano a venir giù anche quando suona Clap! Clap!

L’ultimo lavoro (Gennaio 2017) si chiama “A Thousand Skyes” ed è disponibile per l’ascolto qui:

“A Thousand Skies” è un lavoro in chiara continuità con “Tayi Bebba”. In questa bella intervista su Internazionale è possibile sentire Cristiano raccontare qualcosa di più del racconto che vi è fra i due album.

Il valore di una forma d’arte, per essere compreso a pieno deve essere calato nel contesto storico in cui ha luogo e si esprime. In questo senso, il messaggio musicale di Cristiano Crisci, globale, trasversale, positivo e inclusivo, è di grande valore proprio oggi: dovremmo tutti pensare a costruire il nostro mondo nello stesso modo in cui lui pensa a costruire la sua musica. Eppure, poiché si tratta di musica destinata ai club, e poiché si fa uso di strumenti per lo più elettronici per suonarla, l’opera di Clap! Clap! ottiene i giusti riscontri solo nell’ambito della “sottocultura” a cui appartiene. Ed è un peccato, perché si tratta comunque di un messaggio musicale innovativo, attuale e ricercato.

Qui sotto c’è l’incredibile sequenza di fotografie che ho avuto il privilegio di scattargli, grazie ancora una volta agli amici di Kalporz. (Nota tecnica per i fotografi: fra il buio pesto e il fatto che si muove come un ossesso, non so come ho fatto a portare a casa le foto. Ringraziamo i 12.800 iso della D750 e le lenti f/1.4).

La protesta di Anohni e la forza di Hopelessness

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Sono in metropolitana ed è il momento in cui preferisco ascoltare i dischi per la prima volta; guardarmi intorno mi costringe a concentrarmi su quello che ascolto.

Al lavoro ho fatto tardi e l’amica con cui condivido parte del viaggio conversando è scesa un paio di fermate prima. Accedo alla mia libreria e metto in casuale Hopelessness di Anohni. L’algoritmo di iTunes seleziona per me Obama e mi spiazza: la voce di Anohni, irriconoscibile su un tappeto sonoro elettronico, reitera parole che faccio fatica a capire. Mi riprometto di cercare il testo di questo mantra distorto una volta a casa. 

 

Nel frattempo il vagone si è riempito di facce intente a guardare in basso. Sembra che il mio telefono abbia capito e mi fa ascoltare Watch Me. Il paparino che osserva tutto e tutti, il controllore a cui abbiamo consegnato brandelli della nostra vita è voyeurismo di regime.
Ad un certo punto la voce incredibile di Anohni canta “Lo so che mi ami perché mi osservi sempre… proteggendomi dalla vita, paparino” mentre contemporaneamente le cinque persone sedute davanti a me sono intente a controllare chi la pagina Facebook, chi il profilo Whatsapp, chi la chat di Tinder. Istintivamente prendo il cellulare e chiudo le app, con un brivido.

“Non ti amo più; è da un po` e sono sicura. Mi hai lasciato per un’altra ragazza, mi hai lasciato in un mondo spezzato”. In I Don’t Love You Anymore è la prima volta che riconosco il vecchio Antony nella nuova Anohni; la malinconia e il romanticismo del primo hanno lasciato spazio al lucido dolore della seconda. E` l’epilogo alla storia di I’m in Love; i cigni sono volati via.
Intanto il cinquantenne davanti a me con la fede al dito sta ancora sfogliando su Tinder la galleria immagini.

Sono arrivato a Moscova. Finisco la mia corsa mentre inizia Drone Bomb Me. L’occhio mi cade su una giovane ragazza, appoggiata al muro del mezzanino. Sta lì, a gambe distese e pancione in vista, con un cartello in cui chiede aiuto. Nelle orecchie sento una giovane donna che quasi supplica il drone del titolo: “fammi saltare la testa, esplodere le mie interiora di cristallo, getta il mio porpora sull’erba… penso di voler morire”. La potenza della voce di Anohni è il contraltare all’assoluta impotenza della ragazza, il punto di vista di chi voce non ha. Istintivamente, come da volermi distaccare da ciò che sento e vedo, tiro fuori dalla tasca cinque euro e li porgo alla ragazza. Lei mi guarda per un secondo e mi obbliga a fare i conti con la sua condizione. Per Anohni è la stessa disperazione dell’eterno femminino, della parte debole del genere umano di cui descrive le violenze subite.

Sto infilando le chiavi di casa nella serratura e la voce di Anohni in Violent Men sta adesso cantando “non daremo più alla luce uomini violenti”. Penso che sia una visione semplicistica ma non posso non pensare alla ragazza incinta sulla banchina. E augurarmelo io stesso.

Marco Cavazzini

New Release X Mala,”Mirrors”.

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Ritorno alle origini per Mala: la dubstep e l’elettronica fusi in un corpo solo, suoni cupi e selvaggi e bassi pesanti. L’album, firmato Brownswood, (la cui uscita è prevista il 10 giugno), è già in pre-ordine sulla pagina Bandcamp dell’artista (occhio al box set che contiene 3 Lp in edizione limitata!) e su ITunes, in formato digitale.

Ascolta la traccia in anteprima, al link seguente…

Il caffé oggi ve lo offre Manu Delago.

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Cinque tracce, Tru Thoughts Records, la voce di Rahel e due remix, rispettivamente di Mount Bank e Pitto. Il nuovo ep di Manu Delago esce oggi, (disponibile su Bandcamp).

Dopo il lungo tour, che l’ha visto impegnato con i Cinematic Orchestra in giro per l’Europa, il percussionista/compositore austriaco decide di farci questo regalo proprio oggi, rilasciando The Hidden Goblins EP.

Preparatevi ad un viaggio spettrale e mistico, con toni cupi e scuri, a tratti introspettivo. Note alle quali Mr Delago ci ha abituati, già con il suo precedente lavoro, Silver Kobalt, uscito nel 2015.

Rilassatevi e fatevi trasportare dal suo tocco…al resto ci pensa la musica.

FOLDED LIKE FABRIC “LUXURIES”

Nuova uscita (08-04-2016) per il semi sconosciuto duo inglese formato da Jay Mooncie & Connor Sims.

Melodie pop con cadenze di battiti regolari e profondi e la giusta miscela di  r’n’b .

Sonorità che pur non essendo l’innovazione totale , mi hanno rapita al primo ascolto.

A voi l’ascolto della traccia che da il titolo al nuovo “Luxuries” ed il precedente Ep ” I Tried” rilasciato il 25 settembre 2015

 

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Thom Yorke collabora con Mark Pritchard e regala la sua voce a “Beautiful People”

 

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L’album di Mark Pritchard, Under the Sun,  uscirà il prossimo 13 Maggio, come teaser è appena uscito un singolo con un feature d’eccezione: Thom Yorke regala la sua voce a “Beautiful People”.

Il pezzo all’inizio parla di perdita e di caos ma alla fine lascia un messaggio di amore e speranza ed, a detta di Pritchard, Thom riesce a catturare alla perfezione la sua essenza.

Qui lo streaming:

 

“Take Me To The Alley”, la nuova creatura di Gregory Porter.

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Parliamo di Gregory Porter e del suo album “Take Me To The Alley”, in uscita il 6 maggio, (in pre-order su Amazon Music, Apple Music e ITunes). L’etichetta è sempre la stessa, la Blue Note, sinonimo di garanzia per i fruitori del jazz che conta. Ad annunciarlo è stato proprio l’artista con un video pubblicato sulla sua pagina Facebook.

E quel tenerone ha scelto proprio il 6 maggio per dare alla luce il suo nuovo lavoro, in occasione del compleanno di sua mamma ☺️

A noi Porter piace, voce calda e rassicurante, piena e onesta. Ci ha abituati bene… il suo precedente “Liquid Spirit” è un capolavoro! Siamo certi che i suoi fans non rimarranno delusi.

Maggio non è poi così lontano.

“Link up” by NxWorries [official video]

“Link up” è il secondo singolo tratto dal loro primo Ep “Link up & Suede”, per l’etichetta californiana Stones Throw Records. Il duo delle meraviglie (NxWorries), il produttore Knxwledge e la voce di Anderson Paak, ancora una volta insieme.

Il video è stato girato all’Amigos Liquor Store di Highland Park, Los Angeles. Party improvvisato con tanto alcol, musica e belle ragazze. Fanno da “comparse” l’attore comico Eric André e il rapper americano Earl Sweatshirt. Tutto condito da gustosissima salsa hip-hop.

Se vi venisse in mente di svaligiare una bottega di liquore, potreste prendere spunto da Paak & soci 🙂

 

Layla quando la storia del Rock si scrive con lo smalto

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La ragazza, Layla, si chiamava Pattie Boyde. Per lei persero la testa due ragazzi con la chitarra, uno era George Harrison, l’altro Eric Clapton. Ognuno voleva tutta la scena, entrambi pretendevano di suonare l’assolo.
Lei sposò tutti e due. E nacquero canzoni meravigliose: Something,
I need you, For you blue dei Beatles, Wonderful Tonight, Layla e Bell Bottom Blues di Clapton. Come musa la ragazza se la giocava pure con Calliope. D’accordo erano straordinari anche i ragazzi con la chitarra: due poeti innamorati, se uno ascolta le canzoni si sente. Nessun trucco tranne il mascara di Layla. Perchè in fin dei conti che cos’è un poeta senza musa? Soltanto un tubo senza l’acqua.
È il rock bellezza: o suoni o te le suonano. E spesso la sua storia si scrive con lo smalto.

Gianluca Sales