L’eleganza degli Air mi accompagna dagli anni ’90. Ha allietato chissà quanti aperitivi e serate, è finita in decine di compilation (non si chiamavano ancora playlist), ce la siamo gustata da soli e in compagnia. La mia copia di Moon Safari è stata consumata da tanti lettori CD. I suoni elettronici degli Air, rigorosamente analogici, semplici e ricercati, hanno segnato un periodo musicale della mia vita perché hanno contribuito a farmi apprezzare qualcosa di nuovo. Il fatto che essi abbiano contribuito a segnare un passaggio è fatto riconosciuto da molti, tanto che quando si parla di “french touch” credo ci si riferisca a loro e a St. Germain, innanzitutto.
Scopri che questi elegantoni vengono a suonare in un posto altrettanto elegante, ad un tiro di schioppo da casa, e quindi è ovvio che ti fai in quattro per dribblare l’infinità di impegni di lavoro fino all’ultimo secondo per esserci. Diventa un’impresa anche trovare il biglietto, ma alla fine salta fuori pure quello, grazie ad una perfetta sconosciuta che non può più andare al concerto chissà per quale motivo. Beh, anche la perfetta sconosciuta, nei rapidi scambi di messaggi ed email avuti per concordare la transazione, si rivela elegante e cordiale, come se intorno a questo evento tutto debba essere all’insegna della massima classe e buona creanza.
Contatto l’organizzazione e tento di chiedere l’accesso al pit per fotografare l’evento con comodo, presentandomi come il fotografo di Music Selectors. Ovviamente mi rimbalzano. Si, ma con una eleganza, una classe ed una cortesia mai riscontrate prima.
Gli organizzatori e i responsabili della venue si adoperano per informare in modo proattivo i partecipanti su dove parcheggiare, dove mangiare, come evitare le file. Le code di persone che si sono formate in attesa dell’apertura dei cancelli sono silenziose, ordinate e pazienti. Il colosso della security che mi perquisisce lo zaino, riscontrando che sto portando dento una reflex, abbozza un sorriso a mezza bocca, mi ringrazia e mi invita ad entrare. L’afflusso al locale è veloce e tranquillo, persone dello staff lungo la strada ti salutano sorridenti e ti danno chiare indicazioni su dove andare.
Nessun fattone, nessun molesto, tutti molto tranquilli, non sembra nemmeno di essere ad un concerto.
Raggiungo rapidamente le transenne del pit, voglio essere in prima fila per fare delle belle foto. Non c’è ressa. Chi è in prima fila può lasciare il suo posto, andare a fare la pipì, tornare serenamente al posto in prima fila in cui si trovava.
Poi, come un fulmine a ciel sereno, va storta una cosa: un altro colosso della security che si trova all’interno del pit, prima ancora che inizi il concerto vede che ho in mano la reflex, mi si avvicina e mi vieta di fare le fotografie. Dice che non si può. Si può solo coi telefonini. Non spiega il motivo. Strano che non mi abbiano detto nulla all’ingresso … ma vabbè, incasso il colpo e metto la reflex dentro lo zaino. Un secondo dopo, vieta ad una tizia che stava a pochi metri da me di accendersi una canna. Dice che dà fastidio. Vabbè, magari a qualcuno può dar fastidio, è vero, ma da che mondo è mondo ai concerti la canna si tollera. O no? Poi inizia a parlare con altri, ma non capisco cosa dica loro ma ho la sensazione che stia ponendo altri divieti.
Si fanno le 22:30 e arrivano gli Air. Di bianco vestiti, ovviamente elegantissimi.
Quattro persone: i due leader sono accompagnati da un batterista e da un secondo tastierista. I sintetizzatori analogici che circondano tre dei quattro membri della band non si contano, così come le chitarre acustiche ed elettriche poggiate vicino ad uno dei due leader. La scenografia è interessante, dietro di loro c’è una specie di “ledwall vintage”: una struttura di schermi di plexiglass che sembrano illuminarsi dall’interno, creando effetti visivi tridimensionali antichi, mi ricordano i vecchi caleidoscopi che si usavano quando io ero piccolo.
Iniziano a suonare.
Li osservo e non sento nulla. Certo, sento l’eleganza dei suoni, sento i sintetizzatori analogici, sento la precisione dell’esecuzione. Ma i due Air sono algidi come dei fior di fragola, immobili come dei cetrioli. Non sento nulla, nessuna passione. Ecco, fanno parte di quella categoria di musicisti che, dal vivo, non sono capaci di trasmettermi la loro passione. Suonano ottima musica, certo. La conosciamo, è sempre lei, quella che ascolto volentieri dagli anni 90. La suonano bene, benissimo. Ma manca qualcosa. E’ tutto abbottonato, è tutto immobile, è tutto preciso e perfetto. Le variazioni sul tema sono pochissime. A tratti mi annoio anche un po’.
Ne parlo con le persone che erano con me: mi fanno notare che stiamo parlando degli Air, che questi sono così, che la loro musica è tranquilla, cosa mi aspettavo? Non so: forse è vero, le mie aspettative erano troppo elevate. Ma secondo me non serve fare rock arrabbiato per trasmettere passione quando suoni dal vivo, la passione dovrebbe arrivare comunque, indipendentemente da quello che suoni. E a me non è arrivata. Con un’unica eccezione: il batterista. Adoro i concerti di musica elettronica con la batteria suonata dal vivo, la batteria sul palco cambia tutto, tutto. E poi si sa: quando la senti dalla prima fila è diverso, perché alle orecchie ti arrivano i suoni di piatti e tamburi non amplificati, ed è un’altra cosa.
Un’ora e mezza, giusta giusta, poi tutti a nanna. Bello il rientro dopo la prima ora, con una “Sexy boy” leggermente più energica della media. Ho ascoltato un bel concerto, per carità, ma se solo ci fosse stata un po’ di passione in più, allora sarebbe stato un evento memorabile.
Ah, alla fine dentro il pit c’erano 72 fotografi e fra il pubblico le reflex non si contavano. Quindi ho tirato fuori dallo zaino la reflex e qualche scatto l’ho fatto pure io, nascondendomi dietro gli amici che stavano in pole position, oppure retrocedendo a sufficienza da non poter essere colpito dall’energumeno proibizionista. Pochi scatti, vabbè. Spero piacciano.